Marco Cassioli

 

Communautés protestantes et répression catholique dans le diocèse d’Asti (XVIe siècle)*


Portrait de François Panigarole, évêque d'Asti

 

 

 

1 - La Riforma in Piemonte e nella diocesi di Asti

 

Le idee riformatrici cominciarono a diffondersi in Piemonte negli anni immediatamente successivi alla protesta di Lutero, grazie alla circolazione delle opere degli autori protestanti e alla propaganda orale messa in atto da ferventi predicatori, tra cui due frati in pesante disaccordo con la Chiesa di Roma: l’eremita agostiniano Agostino Mainardi, originario di Saluzzo, e il carmelitano bolognese Giambattista Pallavicino. Il propagarsi di queste dottrine, tuttavia, ebbe un enorme impulso soltanto dopo che i valdesi, presenti da secoli nelle valli Pellice e Chisone-Germanasca, aderirono alla Riforma (1532) e i loro ministri, coadiuvati da predicatori provenienti da Ginevra e dalla Svizzera, iniziarono una intensa opera di proselitismo in tutta l’area subalpina. Svolsero inoltre un importante ruolo di evangelizzatori i militari stranieri di fede luterana o calvinista che nel corso del XVI secolo soggiornarono negli Stati sabaudi, come i soldati e gli ufficiali ugonotti durante l’occupazione francese del 1536-1559[1].

         L’annuncio della salvezza per sola grazia incontrò un notevole favore presso il popolo, disorientato dalla condotta morale di molti sacerdoti e bisognoso di un sincero conforto spirituale. Come ha scritto Pierpaolo Merlin, infatti,

 

“anche in Piemonte grande era la corruzione degli ecclesiastici […]. Il comportamento del clero regolare dava spesso motivo di scandalo e grave era la condizione del clero secolare, i cui membri erano per lo più ignoranti e impreparati ad affrontare la propria missione pastorale. La popolazione versava nell’ignoranza religiosa, perché l’opera di catechesi veniva trascurata e non fa quindi meraviglia il fatto che molti venissero perdendo la fede o la conservassero vacillante e sorretta sovente da superstizioni”[2].

 

         Interessanti notizie riguardo alla diffusione della Riforma in Piemonte si ricavano da una lunga lettera inviata dal medico Gerolamo Raffaele Alosiano di Busca ai prìncipi protestanti tedeschi nel 1559. In questa missiva, scritta per conto delle Chiese valdesi e riformate della regione, si legge:

 

“Nelle valli della provincia di Piemonte […] trenta ministri delle Chiese di Dio predicano apertamente, senza timore dei nemici di Cristo, la Parola di Dio spoglia di ogni belletto ed amministrano le altre cose che sono necessarie nella Chiesa di Cristo, ove sono circa quarantamila fedeli. Nella pianura poi il numero dei fedeli è pure grande. Poiché in questo paese non v’è città, non v’è quasi alcun borgo nel quale non si trovi una Chiesa di Cristo, occulta o palese […]. Infatti in Torino vi è una grande Chiesa di Cristo, ed un ministro segretamente vi annunzia la divina Parola nelle case private, ed insegna ed amministra i Sacramenti di Gesù; nella quale città molti fedeli sonvi d’infra i primari cittadini e nobili, molti anche senatori, giurisperiti e medici […]. In Chieri, città molto maggiore di Torino, si ritrovano moltissimi che professano la verità di Dio. In Carignano vi è gran numero di fedeli che pubblicamente, anche di giorno ed al cospetto degli avversari, convengono le domeniche in case private per pregare e leggere ed ascoltare la Parola di Dio, e nel pomeriggio per il catechismo […]. Lo stesso può dirsi delle Chiese di Racconigi, Poirino, Pancalieri, Valgrana, Dronero, Caraglio, Busca e Cuneo, fra le quali quella di Caraglio le supera tutte, giacché tutti i Caragliesi hanno accettato la Parola di Dio. Tutte quelle Chiese domandano ed aspettano tuttodì un ministro pubblico della Parola di Dio, dei quali vi è grandissima penuria in questa regione. Nella Chiesa di Busca quasi tutti i principali del luogo sono per l’Evangelo di Cristo, fra i quali sono gli stessi consoli ed il pretore […]. Le principali città nelle quali i fedeli non osano ancora riunirsi pubblicamente per pregare, benché spesso parlino di religione nei crocchi di uomini, sono Villanova d’Asti, Moncalvo, Fossano, Peveragno, Villafalletto, Cortemilia, Bene[3], Asti, Clarasio[4] ed altre città e borghi che sarebbe lungo enumerare”[5].

 

         Nella diocesi astigiana, dunque, erano sorte almeno due comunità protestanti, ad Asti e a Villanova. Durante l’occupazione francese, Villanova era considerata una delle fortezze di maggiore importanza che il Re Cristianissimo avesse al di qua delle Alpi[6]. Secondo lo storico Guglielmo Visconti, la presenza di truppe francesi è il primo elemento di cui tenere conto per spiegare l’esistenza di una comunità riformata in questa località[7].

Tra i predicatori che contribuirono a diffondere il protestantesimo nell’Astigiano figurano il già citato Agostino Mainardi, che nel corso di una predicazione quaresimale ad Asti colse l’occasione per manifestare le sue opinioni eterodosse (1532)[8]; Alexandre Guyotin, letterato e giurista nativo di Valréas nel contado Venassino il quale, dopo avere organizzato il culto a Torino, “raggruppò in altrettante congregazioni i riformati di Carignano, Pancalieri, Poirino, Villafranca[9], Villanova d’Asti e Castiglione[10]” (1558)[11]; l’ex frate napoletano Scipione Lentolo, che visitò i credenti di Villanova mentre era pastore a Carignano (1559)[12].

         Quanto al numero dei fedeli che si radunavano nelle Chiese citate da Alosiano, i dati sono pochi ma assai significativi: a Caraglio erano circa novecento fra uomini, donne e bambini[13], a Carignano forse settanta fra uomini e donne[14], a Cuneo centodiciannove uomini più le donne, i vecchi e i bambini[15]; questo fa pensare che i riformati presenti in Piemonte al di fuori delle Valli Valdesi fossero alcune migliaia.

         Negli anni successivi, la Chiesa cattolica, attraverso il tribunale dell’Inquisizione e con l’appoggio del duca di Savoia Emanuele Filiberto, scatenò contro i protestanti della pianura piemontese feroci persecuzioni. Per sfuggire all’arresto, centinaia di persone ripararono a Ginevra, nelle Valli Valdesi o nel marchesato di Saluzzo, che all’epoca apparteneva alla Francia[16]; quelli che vennero catturati dovettero scegliere fra l’abiura e il rogo[17], mentre una parte di coloro che non furono scoperti continuò forse a coltivare la propria fede in segreto[18]. Contro i valdesi, invece, fu intrapresa una vera e propria guerra di religione, che si concluse però con la cocente sconfitta delle truppe ducali (1561)[19].

         Lo storico Giovanni Jalla dà notizia di vari astigiani rifugiatisi a Ginevra a partire dal 1559:

 

“Stefano del Piano, iscritto come studente nell’Accademia ginevrina nel 1559 e che fu seguìto, pochi anni appresso, da vari altri membri della sua famiglia, diventata notevole nella città del Lemano; Secondo Messerano che, giunto a Ginevra nel 1560, vi compiè i suoi studi e vi prese moglie, per poi tornare a predicare l’Evangelo, nel Marchesato di Saluzzo e nelle Valli Valdesi, fino alla sua morte; Giovanni Carcassuola; Francesco Fabiano Buzino, emigrato nel 1562; Giovanni Sardo, di Castelnuovo d’Asti, giunto a Ginevra nel 1564, ed altri ancora”[20],

 

come Giovambattista Sallia di Villanova[21]. Jalla ricorda anche il farmacista villanovese Pierino Musso e il fabbricante di polvere da sparo Giovanni Secondo di “Palme d’Ast” i quali, dopo essere vissuti per qualche anno a Ginevra, ne comperarono la cittadinanza rispettivamente nel 1551 e nel 1578[22].

         Tra questi personaggi spicca per importanza Stefano del Piano il quale, terminati gli studi ginevrini, si dedicò all’evangelizzazione non solo del Piemonte, ma anche della contea di Tenda e della regione di Nizza. Lo storico Arturo Pascal ha scritto di lui:

 

“Nel 1559 fuggì a Ginevra con parecchi altri nobili piemontesi e si iscrisse come studente a quella Accademia. Terminata la preparazione teologica, fu mandato ad evangelizzare le congreghe riformate della pianura piemontese: Chieri, Racconigi, Pancalieri e Carignano. Ma il suo zelo lo portò […] a diffondere la fede riformata in terre più lontane, nel Cuneese, nel Tendese e nel Nizzardo”[23].

 

         Negli ultimi decenni del secolo, invece, la presenza di protestanti nella diocesi astigiana (che all’epoca si estendeva nel Piemonte meridionale fino al colle di Tenda) è attestata nelle seguenti località: Vernante, dove ebbe vita una piccola comunità riformata di cui abbiamo notizie dal 1570 al 1588[24]; Asti, dove nel 1594 svolgeva attività di predicazione Bertolo da Barcellonetta[25], capitano dell’esercito sabaudo già al servizio del celebre generale ugonotto François de Bonne, duca di Lesdiguières; Monale, Roatto e Maretto, dove nel 1594 erano di stanza soldati protestanti originari della Borgogna[26].

         Particolarmente significative sono le informazioni che riguardano Vernante. Nel 1583 la comunità riformata era composta dal ministro Giuseppe Tosello e da altri quattro “heretici pubblici”: Bernardino Dalmazio, Meinardo Macagno, Antonio Poggetto e Giacomo Surdello[27]. Questi uomini, ad eccezione di Giuseppe Tosello, compaiono anche in una lista di persone sospettate di eresia compilata dal parroco del paese nel 1588:

 

“Meinardo Macagno con tutta sua famiglia; Giacobo Surdello con tutti soi di casa; Antonio Poggieto solo; capitano Bernardino Darmasso e Constantio suo figliolo; Margarita figliola di Giovanni Giordanengho et esto Giovanni padre; Filippo Carletto con tutti suoi, et al presente sta fuori del loco; Constancio Tosello; David, Paulo soi fratelli et due sorelle”[28].

 

Calcolando una media di quattro o cinque persone per nucleo familiare, si può ipotizzare che a quella data vivessero in paese dai venti ai trenta protestanti fra uomini, donne e bambini. Siccome Vernante contava all’epoca 2200 anime[29], i riformati dovevano costituire l’1% circa della popolazione.

         Le fonti da cui abbiamo ricavato le notizie su Vernante e le altre località della diocesi sono le visite pastorali e apostoliche conservate presso l’Archivio della Curia Vescovile di Asti e le Lettere di Francesco Panigarola, vescovo di Asti dal 1587 al 1594, pubblicate a Milano nel 1629 e analizzate nel terzo paragrafo di questo articolo.

 

 

2 - Panigarola campione della Controriforma

 

Considerato uno dei più importanti predicatori del Cinquecento italiano, Francesco Panigarola nacque nel 1548 da una nobile famiglia milanese, studiò diritto a Pavia e a Bologna e, successivamente, entrò nell’ordine francescano dei Minori Osservanti a Firenze. L’animo altero e irrequieto, l’adolescenza burrascosa, la conversione dopo essere scampato alla morte in uno scontro tra fazioni rivali hanno indotto critici e biografi a individuare in lui il possibile modello assunto da Alessandro Manzoni per delineare la figura di fra Cristoforo nel romanzo I promessi sposi (1a ed. Milano 1827).

Dopo la professione religiosa solenne studiò matematica e logica aristotelica a Padova, filosofia scolastica a Pisa, teologia alla Sorbona di Parigi. Durante il soggiorno nella capitale francese tenne di fronte al re Carlo IX e alla regina Caterina de’ Medici una predica infervorata in cui, tra le altre cose, salutava con gioia la strage di ugonotti compiuta dai cattolici durante la Notte di San Bartolomeo ed esortava il re ad intraprendere una crociata contro i turchi[30]. È importante considerare, tuttavia, come questi sentimenti nei riguardi del massacro non costituissero una prerogativa esclusiva dell’oratore, ma fossero condivisi da tutto il mondo cattolico: basti pensare che, in seguito a tale avvenimento, papa Gregorio XIII “organizzò a Roma solenni cerimonie religiose, fece coniare una moneta commemorativa e incaricò il Vasari di eternare lo sterminio degli ugonotti in un grande affresco in Vaticano”[31].

Rientrato in Italia, Panigarola si dedicò all’insegnamento e soprattutto alla predicazione, collaborò con Carlo Borromeo, cardinale arcivescovo di Milano, nel contrastare la Riforma protestante in Lombardia e nei Grigioni, divenne uomo fidato e particolarmente ascoltato dal duca Carlo Emanuele I di Savoia. È a questo periodo che risale la pubblicazione delle Lettioni sopra dogmi o Calviniche (1a ed. Torino 1582), un libro di polemica contro il calvinismo che costituisce il suo capolavoro oratorio. L’opera suscitò scandalo a Roma sia perché scritta in volgare sia perché era stata sottoposta alla censura milanese prima che a quella romana. In quella circostanza il cardinale Borromeo difese Panigarola, pur comandando che il volume fosse tradotto in latino; ma fece in modo che la versione italiana circolasse ugualmente in Valtellina e nei Grigioni in funzione antiprotestante. Inoltre volle che il frate lo accompagnasse durante la visita pastorale nei Grigioni.

Pochi anni dopo, per interessamento del duca di Savoia, Panigarola fu nominato da papa Sisto V vescovo titolare della diocesi di Asti (1587). Qui, fino alla morte, avvenuta nel 1594, diffuse lo spirito controriformistico di Carlo Borromeo: fondò la Compagnia di Santa Marta per l’assistenza ai poveri e l’adorazione del Santissimo Sacramento nelle Sante Quarantore, fece una lunga visita pastorale alle parrocchie della città e della diocesi, indisse e celebrò tre sinodi diocesani, contrastò duramente il diffondersi del protestantesimo[32].

 

 

3 - Panigarola e gli “heretici”: un’analisi delle Lettere

 

Le prime lettere di Panigarola in cui si trovano riferimenti al protestantesimo e ai protestanti risalgono al 1588 e sono indirizzate al duca di Savoia. In esse il frate racconta di aver trovato “infettione di heresia” a Vernante durante la visita pastorale alle parrocchie della diocesi. Dei riformati che vivono in paese scrive “che non si communicano mai, che non entrano mai in chiesa […], che infino nel sepelire i morti hanno un cimiterio particolare […]; e molti credono che in casa d’un capitano Bernardino Dalmatio, heretico publico, si faccia anche segretamente qualche essercitio heretico”[33]. Nelle settimane successive fa arrestare il capitano Dalmazio dal governatore di Cuneo e si mette in contatto con alcuni membri della comunità che erano riusciti a fuggire; questi, in un primo momento, chiedono di poter vendere i loro beni e trasferirsi nelle terre abitate dagli ugonotti, poi promettono di convertirsi al cattolicesimo pur di evitare la prigione[34]. Quanto ad Antonio Poggetto, che non aveva “mai dato segno alcuno di voler obedire”, il vescovo riferisce che “si è data la sentenza e sono confiscati i beni”[35]. Le fonti in nostro possesso non dicono però quale fu, nei mesi a venire, la sorte di questi uomini e delle loro famiglie.

Nella lettera Scritta al suo popolo[36] in seguito all’invasione del Piemonte da parte delle truppe ugonotte comandate dal Lesdiguières (1592), invece, Panigarola enfatizza i mali che, a suo avviso, sarebbero derivati alla diocesi astigiana dall’arrivo dei protestanti:

 

“Anche qui vorrebbono subito violate le vergini sacre, uccisi i sacerdoti, sbranati i predicatori, contaminate le chiese, demoliti gli altari, lacerati gli ornamenti sacri, dilapidati i vasi, profanate le suppellettili ecclesiastiche, sbanditi i sacrificii, gettati i sacramenti e infino calpestato nell’ostia santa il tempio sacratissimo di Christo”[37].

 

I suoi timori, tuttavia, erano ampiamente giustificati dai massacri, dalle devastazioni e dai sacrilegi compiuti dagli ugonotti in Francia, dove ancora infuriavano le guerre di religione[38]. L’eco di queste violenze risuona anche nella letteratura del tempo, ad esempio nel Discours des misères de ce temps à la reine Catherine de Médicis (1562) di Pierre de Ronsard. In quest’opera, enumerando i mali che affliggevano la Francia, il celebre poeta scrive infatti: “On a fait des lieux saints une horrible voirie, / Une grange, une étable et une porcherie”, alludendo al saccheggio delle chiese da parte dei protestanti e alla profanazione delle reliquie e delle tombe, come quella di Luigi XI a Cléry[39].

Sempre nella lettera Scritta al suo popolo, Panigarola definisce i soldati nemici “infetti di heretica pravità”, la loro dottrina “sceleratissima peste”, gli eretici “ladri” e “lupi”, l’eresia “cancro” e “peste”[40]. Termini ed espressioni che richiamano, per il tono veemente, quelle scritte qualche decennio più tardi da un altro celebre poeta francese, François de Malherbe, che nell’ode Pour le roi allant châtier la rébellion des Rochelois chiama gli ugonotti “âmes d’enfer” e “cœurs de vipères”, incitando re Luigi XIII a non risparmiare contro di loro né il ferro né il fuoco, a distruggerli senza pietà né clemenza[41].

In alcune lettere del 1594 destinate al duca di Savoia e al nunzio di Torino, invece, Panigarola riferisce della presenza a Monale, Roatto e Maretto di soldati borgognoni che “vivevano hereticamente e che andavano anche seminando cattive propositioni fra popoli”[42]; comunica inoltre la presenza di protestanti fra i soldati di stanza ad Asti, in particolare del capitano Bertolo da Barcellonetta, il quale

 

“in due giorni che è stato qua, già ha cominciato a dire publicamente di essere della religione […] et ad alcune donne ha detto che se intenderanno da lui le cose della religione si troveranno contente, e che vederanno che una messa è troppo per dieci anni, e cose simili. E forsi ha sparso qualche libretto che noi non sappiamo”[43].

 

Chiede quindi al duca e al nunzio di allontanare queste persone dalla sua diocesi o di fornirgli l’aiuto necessario per poterle punire[44].

Dagli scritti di Panigarola sembra che la polemica anticattolica occupasse un posto di rilievo all’interno della predicazione di Bertolo da Barcellonetta. Del resto è noto come le dottrine riformatrici, che il capitano doveva avere approfondito militando fra le truppe ugonotte del Lesdiguières, fossero particolarmente critiche proprio nei riguardi della messa. Anche di questa avversione si può trovare eco nell’opera di Ronsard il quale, nel discorso Remontrance au peuple de France (1562), rinfaccia ai protestanti di “Détester le Papat, parler contre la messe […], / Avoir saint Paul en bouche et le prendre à la lettre, / Aux femmes, aux enfants l’Évangile permettre”[45]. Questa animosità tra cattolici e protestanti derivava dalla convinzione che l’intolleranza religiosa fosse un bene e la tolleranza un peccato. Per gli uomini del tempo, infatti, accettare l’esistenza di una religione diversa dalla propria significava abbandonare all’errore chi, dal loro punto di vista, sbagliava. Il rispetto per le coscienze era quindi considerato un peccato contro la carità, poiché chi tollerava le eresie non si impegnava per salvare l’anima degli eretici. Lasciare liberi questi ultimi, poi, voleva dire condannare alla dannazione anche tutti quelli che costoro avrebbero convertito[46].

Quanto al timore che il capitano avesse distribuito opuscoli di carattere religioso, occorre ricordare come la Chiesa cattolica stesse conducendo una strenua battaglia per arginare il diffondersi delle opere relative alla Riforma. Nel 1559 papa Paolo IV aveva promulgato il primo indice romano dei libri proibiti[47], e lo storico Mario Infelise stima “che almeno la metà dei processi di Inquisizione abbia qualche relazione con la presenza di testi scritti o con la loro lettura”[48]. Tra i libri vietati figuravano non solo le opere di autori protestanti, ma anche quelle di carattere astrologico e di magia, i capolavori letterari ritenuti anticuriali, osceni o immorali, come il Decameron di Giovanni Boccaccio, nonché le Bibbie e i Nuovi Testamenti in volgare, la cui lettura “era consentita solo a seguito di un’esplicita licenza rilasciata dal Sant’Uffizio, che tuttavia non poteva in nessun caso essere concessa alle donne e a chi non conosceva il latino”[49]. Un divieto, quello della lettura della Bibbia, che ebbe gravi ripercussioni “sulla cultura dei cattolici, in particolare di quelli italiani, sino ai nostri giorni”[50]. L’indice fu abolito da papa Paolo VI nel 1966[51].



* Viene qui riproposto, con alcune modifiche e integrazioni, il primo capitolo del mio articolo Presenze protestanti nell’Astigiano: dagli “eretici” del Cinquecento alle Chiese Cristiane dei Fratelli, in E. Baccella, M. Cassioli, A. Genta, G. Rigamonti, Fede e perseveranza. Il protestantesimo nella realtà astigiana (secoli XVI-XXI), Scritti per i 150 anni della Chiesa Cristiana Evangelica dei Fratelli ad Asti (1858-2008), prefazione di Fares Marzone, La Casa della Bibbia, Torino 2008, pp. 1-82.

[1] E. Campi, Nascita e sviluppi del protestantesimo (secoli XVI-XVIII), in Storia del cristianesimo, a cura di G. Filoramo, D. Menozzi, III: L’età moderna, Mondolibri, Milano 1999, pp. 70-74; M. Firpo, Riforma protestante ed eresie nell’Italia del Cinquecento. Un profilo storico, Laterza, Roma Bari 2001, p. 72 sg.; P. Merlin, Il Cinquecento, in P. Merlin, C. Rosso, G. Symcox, G. Ricuperati, Il Piemonte sabaudo. Stato e territori in età moderna, Utet, Torino 1994 (Storia d’Italia diretta da Giuseppe Galasso, VIII, t. 1), pp. 45-49; G. Tourn, I Valdesi. La singolare vicenda di un popolo-chiesa (1170-1976), Claudiana, Torino 19932, pp. 79-101; V. Vinay, La Riforma protestante, Paideia, Brescia 1970, pp. 339-349.

[2] Merlin, Il Cinquecento cit., p. 46.

[3] Bene Vagienna.

[4] Località che va probabilmente identificata con Cherasco (lat. Clarascum).

[5] La lettera, datata 13 aprile 1559, è pubblicata in G. Jalla, Storia della Riforma in Piemonte fino alla morte di Emanuele Filiberto 1517-1580, Claudiana, Firenze 1914, pp. 97-104.

[6] G. Visconti, San Paolo Solbrito e dintorni. Mille anni di storia sull’Altopiano di Villanova d’Asti e in Val Traversola, Gazzetta d’Asti, Asti 1999, p. 116.

[7] Ibidem, p. 191.

[8] Jalla, Storia della Riforma cit., p. 34.

[9] Villafranca Piemonte.

[10] Ci sono sette località in Piemonte che portano questo nome, di cui una in provincia di Asti, ma il testo non specifica di quale si tratti.

[11] Jalla, Storia della Riforma cit., p. 93. Il contado Venassino si trovava nell’attuale Provenza e fu possesso della Santa Sede dal XIV secolo alla Rivoluzione.

[12] Ibidem, p. 127.

[13] Merlin, Il Cinquecento cit., p. 91.

[14] Jalla, Storia della Riforma cit., p. 127.

[15] Ibidem, p. 243.

[16] Annesso nel 1548 alla Francia, il marchesato di Saluzzo passò ai Savoia nel 1601.

[17] Jalla, Storia della Riforma cit., pp. 131, 217, 314, 373-382; Merlin, Il Cinquecento cit., pp. 83-92.

[18] Su questo comportamento, assai diffuso tra i protestanti italiani del Cinquecento, cfr. C. Ginzburg, Il nicodemismo. Simulazione e dissimulazione religiosa nell’Europa del ’500, Einaudi, Torino 1970.

[19] Tourn, I Valdesi cit., pp. 109-118.

[20] Jalla, Storia della Riforma cit., p. 113. Francesco Fabiano Buzino era di Villanova d’Asti (ibidem, p. 217). Castelnuovo d’Asti è l’odierno Castelnuovo Don Bosco.

[21] Ibidem, p. 314.

[22] “Perrin De Mus, filz de Estienne, de Ville Nove d’Ast, appothicaire”, iscritto nel Livre des Bourgeois della città di Ginevra il 28 novembre 1551 (ibidem, p. 378). “Jehan Syon, filz de feu François, de Palme d’Ast en Piedmont, pouldrier”, iscritto nel Livre des Bourgeois il 28 aprile 1578 (ibidem, p. 380). Lo stesso personaggio è citato come “Jean Second d’Ast poudrier” nel 2° volume del Livre des Habitants de Genève in data 29 ottobre 1572 (ibidem, p. 314). “Palme d’Ast” è una località che non è stato possibile identificare. Potrebbe trattarsi di una trascrizione errata.

[23] A. Pascal, La Riforma nei domini sabaudi delle Alpi Marittime Occidentali, in “Bollettino storico-bibliografico Subalpino”, LVII (1959), fasc. 2, p. 382, n. 35.

[24] Sugli “heretici” di Vernante cfr. Archivio della Curia Vescovile di Asti, Visite pastorali di monsignor Domenico della Rovere 1569-1584, prima visita pastorale, Vernante, 1° settembre 1570, f. 13 r.; ibidem, seconda visita pastorale, Vernante, 6 maggio 1574, ff. 35 v., 36 r.; La visita apostolica di Gerolamo Scarampi, Vernante, 26 febbraio 1583, in La visita apostolica di Angelo Peruzzi nella diocesi di Asti (1585), a cura di D. Ferro, prefazione di Guglielmo Visconti, Edizioni di Storia e Letteratura, Asti Roma 2003 (Thesaurus Ecclesiarum Italiae, I, 4), pp. 490-492; Archivio della Curia Vescovile di Asti, Visita pastorale di monsignor Francesco Panigarola 1588, Vernante, 26 maggio 1588, ff. 109 r., 110; Lettere di monsignor Panigarola vescovo d’Asti raccolte dal signor Alessandro Panigarola e dedicate al serenissimo signor duca di Savoia, Giovanni Battista Bidelli, Milano 1629, pp. 135-139.

[25] Oggi Barcelonnette, in Provenza. Questa località, situata all’epoca nella contea di Nizza, fu ceduta dallo Stato sabaudo alla Francia nel 1713, in seguito alla pace di Utrecht (M. Bottin, Nice, ville ouverte (1691-1792), in Nouvelle histoire de Nice, a cura di A. Ruggiero, Privat, Toulouse 2006, p. 129).

[26] Si veda il paragrafo 3 di questo articolo.

[27] “In visitatione apostolica dati fuerunt in nota infrascripti de loco Vernantis tamquam heretici pubblici, videlicet: Iosephus Tosellus, qui personam ministri agit, Bernardinus Dalmatius, Meinardus Macagnus, Antonius Poggetus, Iacobus Surdellus” (La visita apostolica di Gerolamo Scarampi cit., p. 490).

[28] Visita pastorale di monsignor Francesco Panigarola cit., f. 109 r. La lista fu consegnata al vescovo Panigarola durante la visita pastorale.

[29] La visita apostolica di Gerolamo Scarampi cit., p. 489.

[30] La predica, intitolata Di Dio re e del regno di Francia (1572), è contenuta nel volume Prediche fatte spezzatamente (1a ed. Asti 1591) e ripubblicata in G. Torta, Francesco Panigarola (Milano 1548-Asti 1594). Studio storico-letterario, Gazzetta d’Asti, Asti 1994, pp. 205-221. In essa si legge che Carlo IX “ha, si può dire, con un’opera sola [la strage di San Bartolomeo] riedificato i templi, rierte le croci, ridipinto di sante immagini le pareti. Che più? Ha tornato la vera cristianità nel cristianissimo paese; ha finalmente, io lo dirò pure (cosa non sentita né letta mai) in una mattina sola, anzi in un aprir di bocca, purgato di eresie apparenti chiunque alberga tra Garonna e il Monte e fra il Rodano e il Reno e l’onde salse” (p. 219). Come ha scritto Giuseppe Torta, “l’orazione ci mostra pure alcuni capisaldi della dottrina dell’autore, anche se oggi ci appaiono del tutto anacronistici: ad esempio la visione cosmografica propria, del resto, della scienza e della teologia dell’epoca, la concezione teocratica del potere regale, la giustificazione teologica della strage di San Bartolomeo e delle crociate antiturche” (p. 203).

[31] H. Lutz, Il risveglio politico e religioso dell’Europa nel XVI secolo, in Grande storia universale Mondadori, a cura di G. Mann, A. Nitschke, VII: Dalla Riforma all’Illuminismo, Mondadori, Verona 19754, p. 111. Secondo lo storico Josef Gelmi, tuttavia, è certo che il papa “era all’oscuro delle trame di Caterina de’ Medici e che non ebbe alcuna parte alla preparazione e all’esecuzione di tanto massacro” (I papi, Rizzoli, Milano 19872, p. 172).

[32] Sulla vita e le opere di Francesco Panigarola cfr. Torta, Francesco Panigarola cit. Sul suo episcopato cfr. G. Visconti, Diocesi di Asti e Istituti di vita religiosa. Lineamenti per una Storia, prefazione di Renato Bordone, Gazzetta d’Asti, Asti 2006, pp. 195-209. Sulla diocesi di Asti nell’età della Controriforma cfr. P. Cozzo, La città, il vescovo, il santo. Politica e religione ad Asti fra Cinque e Seicento, in Asti in età moderna. Contributi per una storia della città e del territorio (secc. XVI-XIX), a cura del Gruppo Ricerche Astigiane, Diffusione Immagine, Asti 2003, pp. 16-30.

[33] Lettere di monsignor Panigarola cit., p. 136: Al signor duca di Savoia, Asti, 16 giugno 1588.

[34] Ibidem, p. 138: Al medesimo, Asti, 22 luglio 1588; ibidem, p. 139: Al medesimo, Asti, 25 agosto 1588.

[35] Ibidem, p. 139: Al medesimo, Asti, 25 agosto 1588.

[36] Ibidem, pp. 49-56. La lettera non è datata ma risale certamente al 1592, poiché in essa Panigarola afferma di essere vescovo di Asti da cinque anni.

[37] Ibidem, p. 51. Il tono del discorso pare mutuato da quello di un passo della già citata predica tenuta a Parigi davanti ai reali di Francia, in cui, riferendosi ai turchi, Panigarola si chiede: “Avrà questa gente nemica di Dio dispregiato la religione, la religione di Cristo, profanato i templi, spogliato i sacrari, rotto le sante statue, disfatto i tabernacoli, sparse le reliquie, calpestato i sacramenti?” (Torta, Francesco Panigarola cit., p. 220).

[38] A proposito di questi conflitti, Corrado Vivanti ha scritto: “Massacri di centinaia di persone hanno luogo sia in città rimaste in mano ai cattolici, sia in quelle prese dagli ugonotti. Questi ultimi si propongono all’inizio di limitarsi alla distruzione delle immagini, che detestano come una forma di idolatria, ma presto passano all’uccisione dei preti, e quando le loro forze militari conquistano qualche città, si abbandonano a loro volta a eccessi d’ogni sorta” (Le guerre di religione nel Cinquecento, Laterza, Roma Bari 2007, p. 35).

[39] Ronsard, Poésies choisies par Paul Maury, agrégé des Lettres, professeur au Lycée Rollin, II (1560-1585), Librairie Larousse, Paris 193311, p. 14. Ronsard (1524-1585) fu poeta di corte durante il regno di Carlo IX.

[40] Lettere di monsignor Panigarola cit., p. 51 sg.

[41] Malherbe, Racan, Maynard, Poésies choisies par Pierre Sorand, professeur au Collège de Joigny, Librairie Larousse, Paris s.a., pp. 46-52. Malherbe (1555-1628) fu poeta ufficiale di corte a partire dal 1605. L’ode gli fu commissionata da Luigi XIII prima di partire per l’assedio di La Rochelle, centro della resistenza protestante (giugno 1627).

[42] Lettere di monsignor Panigarola cit., p. 178: Al signor duca di Savoia, Asti, 26 febbraio 1594.

[43] Ibidem, p. 175: A monsignor nuntio di Turino, Asti, 6 marzo 1594.

[44] Ibidem, p. 175: A monsignor nuntio di Turino, Asti, 6 marzo 1594; ibidem, p. 178: Al signor duca di Savoia, Asti, 6 marzo 1594.

[45] Ronsard, Poésies choisies cit., p. 18.

[46] Su questo tema si veda ad esempio La «Lettera sulla tolleranza» di Locke e il problema della tolleranza nella filosofia del Seicento, a cura di R. Cortese, Paravia, Torino 1990, p. 14 sg.

[47] M. Infelise, I libri proibiti. Da Gutenberg all’Encyclopédie, Laterza, Roma Bari 2007 (Edizione speciale per il Giornale), p. 33.

[48] Ibidem, p. 12.

[49] Ibidem, p. 34.

[50] Ibidem, p. 43.

[51] Ibidem, p. 29.


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